il ‘copione’ già visto nella Russia degli zar

il ‘copione’ già visto nella Russia degli zar



L’arrivo di Aleksei Navalny nella colonia a regime speciale di Kharp, nella regione di Yamalo-Nenets, oltre al circolo polare artico, una struttura del Servizio penitenziario russo costruita sulle rovine di un gulag, lo consacra non più solo come oppositore, ma come figura martire del potere, quindi candidato a incarnare il potere, come già era stato con la sua agonia, dopo l’avvelenamento di cui era stato vittima in Siberia nell’agosto del 2020.

Non basta infatti in Russia denunciare le malefatte di chi il potere lo occupa, come pure Navalny ha fatto in passato, con la sua Fondazione anti corruzione e i post sul suo blog sin dal 2007, i video su youtube dedicati ai diversi esponenti della verticale del potere di Vladimir Putin e ai loro patrimoni, soprattutto immobiliari, manifestare nelle piazze contro la corruzione, i brogli alle elezioni, l’autoritarismo, estendere la sua rete di uffici politici da Mosca e San Pietroburgo a tutte le regioni del Paese.

Per consolidare il messaggio politico alternativo a quello del sovrano, bisogna passare attraverso la sconfitta. Come fu per i decabristi nel 1925, per Fedor Dostoievskij nel 1849, per i dissidenti di epoca sovietica, gli scrittori Julij Daniel e Andrej Sinjavskij.

E la sconfitta dell’oppositore ha un suo rituale ben definito. Si articola in un calvario con tappe che trovano radici nella storia, ben prima di Putin. Il processo. L’ultima parola (poslednee slovo) dell’imputato prima della condanna, occasione per un intervento di valore non solo giuridico, ma anche politico e letterario da far circolare in samizdat in epoca sovietica, online ai tempi di Putin (Sergei Bondarenko e Giulia De Florio, di Memorial, hanno raccolto 25 di questi discorsi esemplari contemporanei, incluso quello pronunciato da Navalny nel marzo del 2022, nel libro ‘Proteggi le mie parole’ pubblicato di recente da edizioni e/o).

La condanna. L’isolamento. L’abuso e la violazione sistematica dei diritti in carcere, privazione di cure mediche, lunghi periodi nella Shizo, la cella di isolamento. Per alcuni, in epoca brezhneviana, la psichuska, l’ospedale psichiatrico. Gli scritti e la corrispondenza. L’esilio. Irkutsk per i decabristi (4.400 chilometri da San Pietroburgo). E anche a loro, già nel 1826, ci vollero 27 giorni per raggiungere destinazione, come a Navalny 20 per arrivare a Kharp.

Gorki, per Andrei Sakharov (400 chilometri dalla capitale). Il Vermont per Solgenitsyn (quasi 4.500 chilometri da Mosca). Krasnokamensk per Mikhail Khodorkovsky (6.700 km dalla capitale). Omsk per Vladimir Kara-Murza (2.600 chilometri da Mosca). Kharp per Navalny quindi (2000 km). Sin dal primo esule politico in Siberia, l’arciprete sciamatico Avvakum, nel XVII secolo, quando guidò le proteste dei Vecchi credenti contro le riforme del Patriarca Nikon. Esilio che richiama le condizioni estreme delle inospitali foreste del nord occupate dalle tribù slave che diedero vita alla Rus di Kiev. Resistenza testimoniata, ma soprattutto divulgata, dal corpo, in un martirio che sottrae all’oppositore i suoi peccati e lo rende assoluto, pari allo zar.



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di [email protected] (Web Info)
www.adnkronos.com
2023-12-27 18:18:55 ,

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